Alla vigilia del secondo anno dopo la rivolta rivoluzionaria nazionale che iniziò con l’assassinio di Jina (Mahsa) Amini da parte del regime, stiamo assistendo alla resistenza delle donne prigioniere politiche in più di 18 carceri dell’Iran, lanciando una grande e importante campagna per difendere il diritto alla vita.
La campagna per il “no alle esecuzioni” ha ormai superato il suo 29esimo martedì di protesta.
Le donne prigioniere hanno pagato e continuano a pagare un prezzo molto caro per la loro resistenza in questa importante campagna, tra tante cose sottolineiamo in data 9 agosto 2024 le aggressioni fisiche e le torture brutali alle quali si sono sottoposte per protestare la condanna di morte di Reza Rasaei, mentre erano in sciopero della fame. Diverse di loro sono state gravemente ferite e deportate alla clinica infermieristica della prigione di Evin.
Alle 37 prigioniere politiche protestanti contro le condanne a morte, sono state sospese le visite e le telefonate settimanali con i parenti.
È stato riferito che alcune prigioniere politiche nel reparto femminile Del carcere di Evin, sono sotto la pressione degli agenti di sicurezza per una confessione forzata contro le donne ribelli compagne di cella con l’obiettivo di negazione del pestaggio delle attiviste detenute che protestavano contro l’esecuzione di Reza Rasaei da parte delle guardie carcerarie di Evin.
Le proteste nel reparto femminile di Evin sono iniziate con la campagna “No alle esecuzioni” per protestare contro la pena di morte. Nel gennaio 2024, e dopo l’emissione di condanne a morte per due attiviste sindacali e politiche curde, Sharifa Mohammadi e Pakhshan Azizi, nel carcere femminile di Evin le proteste sono aumentate sempre di più.
Il 3 agosto 2024, le attiviste detenute iniziarono un sit-in nel cortile della prigione e si rifiutarono di rientrare anche la notte.
Precisiamo che le attiviste prigioniere politiche di questa sezione non sono rimaste in silenzio di fronte l’oppressione e discriminazione di altre donne prigioniere della comunità baha’i e delle detenute non politiche.
Ad oggi anche il reparto maschile e femminile del carcere di Lakan Rasht, un’ampia gamma di prigionieri in diversi reparti del carcere di Qazalhasaro, del carcere centrale di Karaj e delle carceri nelle città di Khorramabad, Khoi, Naqdeh, Saqez, Tabriz, Mashhad, Qaem Shahr, Ardebil, Kamiyaran, Marivan, Salmas, Urmia, Baneh e il carcere Nezam di Shiraz sono uniti alla campagna di “I Martedi di no alle esecuzioni”.
Anche le donne detenute del carcere di Vakil Abad a Mashhad continuano loro battaglia contro le condizioni strazianti della prigione, delle torture e degli abusi fisici e mentali sulle donne detenute.
Sfortunatamente, non ci sono abbastanza informazioni sulle proteste dei prigionieri in altre città dell’Iran.
Mentre siamo solidali con le lotte delle prigioniere politiche contro la pena e condanna di morte, esprimiamo la nostra profonda preoccupazione per la vita di molte donne attiviste rinchiuse nelle carceri iraniane dopo la diffusa repressione del movimento “Donne, vita, libertà”. Secondo le organizzazioni per i diritti umani, almeno 15 donne sono a rischio di esecuzione.
Due donne prigioniere attiviste politiche Verishe Moradi e Nasim Gholami Simiari rischiano di essere condannate a morte con l’accusa di “Baghi“*.
Le fonti dei diritti umani hanno annunciato l’esecuzione di 29 prigionieri nella prigione di Qezel Hesar e nella prigione centrale di Karaj. L’esecuzione è stata espletata in gruppo.
Secondo Amnesty International, 853 persone e almeno 22 donne e 2 minori l’anno scorso sono state giustiziate in Iran, e così l’Iran occupa il vergognoso primo posto nelle esecuzioni e anche nelle esecuzioni di donne.
Finora almeno 9 manifestanti della rivolta di Jina sono stati giustiziati e molti sono morti sotto tortura e almeno 48 persone a causa della partecipazione in queste proteste rischiano di ricevere ed eseguire la condanna a morte.
Dall’inizio di quest’anno sono almeno 345 le persone presenti nelle carceri iraniane di cui sono state giustiziate almeno 15 donne.
Il rischio dell’esecuzione e la negazione dell’esecuzione delle condanne a morte in Kurdistan, il Baluchestan, gli arabi di Ahwaz e i cittadini afghani sono più di altre regioni dell’Iran.
Noi 22 organizzazioni indipendenti di donne iraniane nella diaspora condanniamo il regime reazionario della Repubblica islamica dell’Iran, chiediamo alla comunità Internazionale, sindacati, coalizioni globali contro la pena di morte di fermare la macchina delle esecuzioni della Repubblica islamica, che approfittando delle tensioni internazionali, uccide sempre più di prima. Vi comunichiamo che non è sufficiente solo esprimere le preoccupazioni rispetto il numero così alto di esecuzioni di tanti prigionieri politici che lottano per la pace e l’uguaglianza. La loro vita è seriamente a rischio.
* Baghi : un reato della shariaa per chi combatte contro un governo islamico. la condanna è pena di morte