In nome delle donne, in nome della vita e in nome della libertà

A due anni dopo il movimento rivoluzionario di Jina, Noi 24 organizzazioni indipendenti di donne iraniane nella diaspora, riflettiamo sulle esperienze, sui successi e sulle sfide iniziate con l’omicidio di Jina Mahsa Amini da parte del regime, per una vita senza discriminazioni e disuguaglianze con il movimento nominato “ Jin, Jian, Azadi”.

Questo movimento continua il suo percorso, pagando il caro prezzo delle vite umane e gli occhi accecati da oppressori di gente che amava la vita e il nome di Jina è diventato il simbolo della libertà. Jina Mahsa Amini, Mahu la ragazza di Chabahar e Marzie Tehrani hanno reso pubblici i conflitti tra il popolo e il regime e descrivono come le donne di Dasgoharan*: “la gente ha perso la pazienza e ha iniziato a ribellarsi”. 

La lotta continua delle donne iraniane contro la disuguaglianza dal marzo 1979 fino al culmine di queste lotte nel novembre 2017 e la stessa lotta costante delle donne etniche, e di diverse provenienze iraniane curde, beluci, arabe e azere e la comunità queer in una situazione critica di un paese militarizzato, sono mosse dalla scia che porta alle manifestazioni e l’occupazione delle strade nel settembre di 2022.

In questo movimento rivoluzionario, tutte le battaglie dal passato nelle zone centrali e nelle periferie del paese, che spesso sono state represse e ignorate, sono emerse a tal punto che non possono essere più negate.  

Al proliferare della resistenza e della lotta nelle proteste “Donne, vita libertà” che non si è potuto opporre il regime, arrivando al potenziamento della resistenza. Basta prendere atto dei casi recenti, delle attuali lotte contro la pena di morte, contro la obbligatorietà di hijab, contro l’oppressione dei popoli, di genere e la lotta collettiva per una vita migliore, per vedere come è cambiato il volto delle città. 

In effetti queste battaglie importanti anche se poco organizzate, durate diversi decenni contro le forze reazionarie e contro il patriarcato dello stato fondamentalista e capitalista, hanno fatto grandi passi avanti. 

L’impatto di queste campagne è visibile nelle rivendicazioni dei pensionati e negli slogan che risuonano nelle strade del paese nelle “domeniche di protesta” a livello nazionale. Slogan come: “uomini e donne sono uguali, uniti e coraggiosi”, “con il potere degli uomini e delle donne l’oppressione vacilla”, “Qui l’oppressione è doppia per le donne”, “lasciate il velo e occupatevi di noi” non sono più casi rari ed eccezionali, esprimono la promozione di lotte egualitarie nei diversi strati sociali.

La battaglia che stanno portando avanti i prigionieri politici, soprattutto le donne prigioniere, è un altro pezzo importante della resistenza che si è opposta alla repressione, alla tortura e alle esecuzioni tutte le settimane con lo “sciopero carcerario di martedì “. Questa campagna è entrata in una nuova fase con un sit-in nel cortile della prigione femminile di Evin contro le condanne delle 2 donne che aspettano la loro esecuzione, Sharifeh Mohammadi e Pakhshan Azizi , donne influenti del movimento operaio e del movimento per la libertà; perché tutti hanno capito che queste condanne a morte non sono state emesse solo contro queste due prigioniere politiche , ma contro tutti gli attivisti per intimidire e fermare la loro lotta. 

D’altro canto, abbiamo assistito agli sforzi dei candidati misogini del regime che hanno negato il loro ruolo nell’instaurazione dell’apartheid di genere, cercando disperatamente di incoraggiare gli iraniani a partecipare alle recenti elezioni, negando l’esistenza di organi governativi per il controllo dei corpi delle donne e altre forme di repressioni. 

Inoltre non dimenticheremo la tragedia, di un altro settembre, quello dell’uccisione di migliaia di prigionieri politici, uomini e donne negli anni 80, non dimenticheremo il processo di Hamid Nouri il pubblico ministero del carcere di Gohardasht con l’accusa di aver partecipato al massacro del regime nell’estate del 1989. Sfortunatamente, poco dopo la conferma della condanna all’ergastolo presso la corte d’appello in Svezia, è stato scambiato con prigionieri svedesi nel giugno 2024. Da questa esperienza amara apprendiamo che lo slogan del movimento “Donne, vita, libertà” significa che stare insieme è la nostra forza e che lo spirito di unione delle forze dovrebbe ancora essere la guida delle nostre azioni e non aspettare benefici da parte altri paesi e poteri.

Noi organizzazioni femminili indipendenti, impariamo da queste esperienze di lotta, ci uniamo con empatia e solidarietà allo slogan “Donne, vita, libertà” e non ci tireremo indietro finché non raggiungeremo l’uguaglianza, la libertà e resisteremo ad ogni oppressione delle donne. Sappiamo che raggiungere questi obbiettivi non è possibile finché c’è il regime della Repubblica Islamica o qualsiasi altro sistema autoritario. 

In fine mentre onoriamo le lotte delle donne femministe di tutto il mondo per la pace e contro il patriarcato, dichiariamo la nostra solidarietà a donne e bambini di tutto il mondo, in particolare quelli più colpiti in questo momento, in Palestina e Afganistan. 

* Dasgoharan : Il nome del movimento delle donne beluch

  • Nel dicembre 2017 a causa della crisi economica e della dilagante corruzione nel governo si sono svolte in molte città del paese le proteste popolari.

* Nel novembre 2019 conosciuto come “Aban khunin” novembre di sangue, la protesta contro l’aumento del 200% della benzina divenne immediatamente nazionali. Sono state uccise circa 1500 persone in tre giorni.